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Normativa e prassi

La Brexit non porta via né plafond
né lo status di esportatore abituale

Il soggetto passivo che prima della “scissione” si era identificato direttamente in Italia non deve necessariamente chiudere la partiva Iva e nominare un rappresentante fiscale

immagine di una persona con una borsa con i colori della bandiera britannica

La società residente nel Regno Unito non perde, a causa dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, la condizione di esportatore abituale ai fini Iva. Inoltre, se passa dall’identificazione diretta alla rappresentanza fiscale, senza soluzione di continuità, può effettuare acquisti senza Iva utilizzando il plafond maturato in capo al numero identificativo Iva, che è stato utilizzato ante Brexit della medesima società.
È quanto chiarisce la risposta n. 260 del 19 aprile 2021
Il chiarimento risolve uno degli interrogativi nati con la Brexit e conseguenti ai mutati obblighi fiscali dei soggetti con sede in Gran Bretagna (o viceversa) e, quindi, in un Paese da considerarsi ormai extra-Ue.

In questo caso l’istante è di un’impresa stabilita nel Regno Unito, appartenente a un gruppo societario, che commercializza componenti del settore dell’industria automobilistica, prodotti da altre aziende del gruppo e presenti in Europa.
Acquista e rivende anche i prodotti da una società del nostro Paese. Per svolgere le operazioni con la partner italiana, nel periodo ante-Brexit, era identificata direttamente in Italia (articolo 35-ter del decreto Iva) e aveva acquisito lo status di esportatore abituale (articolo 1, comma 1, lettera a), Dl n. 746/19839), condizione, quest’ultima, che gli consentiva di acquistare i componenti made in Italy senza addebito di Iva nei limiti del mensile del plafond spettante, a fronte del rilascio della prescritta dichiarazione d'intento.
Con l’uscita definita della Gran Bretagna dalla Ue, in vigore dal 1° gennaio 2021, l’istante ha ritenuto di dover interrompere l'identificazione diretta e nominare un rappresentante fiscale nel nostro Paese. Di conseguenza, la società ha richiesto e ottenuto la cessazione della partita Iva italiana e la nomina di un rappresentante fiscale.

Il dubbio della società riguarda la possibilità di mantenere lo status di esportatore abituale senza soluzione di continuità nel passaggio dall’identificazione diretta al rappresentante fiscale e, quindi, di poter effettuare, tramite quest’ultimo, acquisti senza Iva utilizzando anche il plafond maturato in capo al numero d’identificazione diretta.

Positivo il parere dell’Agenzia che, in sostanza, promuove le argomentazioni dell’istante.
Innanzitutto, il documento di prassi specifica che la rinuncia all’identificazione diretta a favore della nomina di un rappresentante fiscale effettuata dall’istante è stata superflua. I due sistemi sono entrambi validi per i soggetti non residente anche in Paesi extra-Ue, a patto che si tratti di Stati con cui siano in vigore strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta, analogamente a quanto previsto dalle direttive del Consiglio n.76/308/Cee del 15 marzo 1976 e n. 77/799/Cee del 19 dicembre 1977 e dal regolamento Cee n. 218/92 del Consiglio del 27 gennaio 1992 (articolo 35-ter, comma 5, decreto Iva).
Il protocollo stipulato il 24 ottobre 2020, che regola i rapporti economici tra Ue a Uk, aggiunge al riguardo l’amministrazione finanziaria, è da ritenersi assimilabile agli strumenti di cooperazione amministrativa esistenti nell’Unione europea (risoluzione n. 7/2021, vedi articolo “Accordo post Brexit tra Ue e Uk: nel Protocollo reciproca assistenza”).
Pertanto, i soggetti passivi del Regno Unito, come l’istante, possono continuare a scegliere tra identificazione diretta o rappresentante fiscale per assolvere gli obblighi fiscali ed esercitare i diritti ai fini Iva in Italia (risoluzioni n. 220/2003 e n. 44/2020, vedi articolo “Accordo Ue - Regno di Norvegia.  Sì all’identificazione diretta”).

Possibile, inoltre, il trasferimento del plafond Iva dal numero d'identificazione diretto del soggetto non residente al rappresentante fiscale.
L’istituto Iva del plafond (articolo 8, secondo comma, decreto Iva) consente agli esportatori abituali di effettuare, in presenza di determinate condizioni e dietro presentazione di una dichiarazione d'intento, acquisti senza il pagamento dell'Iva, nei limiti dell'ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni verso l’estero, realizzate nel corso dell'anno solare precedente o nei dodici mesi precedenti: tale ammontare rappresenta, rispettivamente, il plafond fisso e il plafond mobile.
Il regime è applicabile se l’ammontare dei corrispettivi realizzati con l’estero è superiore al 10% del volume d’affari calcolato in base alla normativa Iva. I corrispettivi delle cessioni intracomunitarie concorrono alla determinazione del plafond e alle relative percentuali necessarie per l'effettuazione di acquisti senza pagamento dell’Iva. Non sono imponibili le cessioni di beni, diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi rese nei confronti dei soggetti che effettuano cessioni all'esportazione o cessioni intracomunitarie e si avvalgano della detta facoltà di acquistare o importare senza pagamento dell'imposta.
La facoltà può essere applicata anche dai soggetti che effettuano operazioni assimilate alle esportazioni nonché servizi internazionali (articoli 8-bis e 9 del decreto Iva), nei limiti dei relativi corrispettivi.
In presenza dei requisiti richiesti, specifica l’Agenzia, possono, quindi, beneficiare del regime, nei limiti del plafond maturato nell'anno precedente (o nei dodici mesi precedenti), anche i soggetti esteri identificati ai fini Iva in Italia direttamente o tramite rappresentante fiscale (risposta n. 1/2021).

È corretta, dunque, la soluzione proposta che consente al rappresentante fiscale della società di utilizzare il plafond Iva maturato in capo al numero identificativo Iva che è stato utilizzato ante Brexit della stessa società.

Il via libera all’utilizzo del plafond maturato anche tramite identificazione diretta deriva in primis, come sostenuto anche dall’istante, dal fatto che nel passaggio tra i due sistemi di rappresentanza è restato immutato il soggetto passivo non residente che ha maturato il plafond, sono cambiati soltanto gli strumenti giuridici attraverso i quali lo stesso assolve gli obblighi ed esercita i diritti relativi alle cessioni e alle prestazioni di servizi effettuate in Italia, tra cui il diritto all’utilizzo del plafond per sterilizzare l’Iva sulle operazioni attive.
A sostenere tale interpretazione, anche la disciplina del trasferimento del plafond in caso di operazioni straordinarie, come fusioni, scissioni e cessioni d’azienda.
Al riguardo l’Agenzia ricorda che “con diversi documenti di prassi è stato introdotto il principio per cui nelle operazioni straordinarie il soggetto che subentra, senza soluzione di continuità, nell'attività e nei rapporti giuridici (attivi e passivi) del soggetto "trasformato", "fuso" ,"scisso", "conferitario"(o "avente causa" in una cessione di ramo aziendale) è legittimato ad utilizzare il plafond Iva maturato in capo al suo soggetto "dante causa", "conferente" "scindente" "incorporante" (cfr. inter alia risoluzioni n 124/E del 2011e n. 165/E del 2008)”.

Il documento di prassi conclude affermando che se tale via è accessibile anche quando cambia l’identificazione giuridica del soggetto passivo, tanto più il plafond non è perso se il soggetto passivo è sempre lo stesso e si modifica solo lo "strumento" attraverso cui lo stesso esercita i propri diritti per operazioni Iva territorialmente rilevanti in Italia.

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