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Normativa e prassi

Compensi con ritenuta anche nel fallimento in estensione

L’obbligo per il curatore permane nell’ipotesi di procedura concorsuale a carico di soggetto non imprenditore e, quindi, senza partita Iva

Il curatore fallimentare, quando corrisponde compensi ai consulenti della procedura concorsuale, deve operare la ritenuta d’acconto del 20%, anche nell’ipotesi di fallimento di un socio non imprenditore (e, dunque, non titolare di partita Iva) dichiarato “in estensione” al fallimento della società. Questa la posizione assunta dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 297/E del 14 luglio 2008.

Il documento di prassi, dopo aver ricordato che l'articolo 23, comma 1, del Dpr 600/1973 annovera tra i sostituti d’imposta il curatore fallimentare e il commissario liquidatore, si è soffermata sul fatto che questi ultimi, in ragione della predetta qualifica, sono tenuti a ottemperare a tutti gli obblighi posti dalla normativa fiscale a carico dei sostituti d’imposta (circolare 28/2006) tra cui, ad esempio, l’obbligo di applicare la ritenuta d’acconto del 20% quando erogano compensi che costituiscono, per il percipiente, redditi di lavoro autonomo (cfr articoli 23 e 25 del Dpr 600/1973).

Ciò premesso, il documento di prassi ha verificato l’applicabilità delle citate disposizioni normative anche al cosiddetto “fallimento in estensione”, disciplinato dall’articolo 147 “legge fallimentare” (regio decreto 267/1942): “La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili…Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile”.
La norma riportata, quindi, sancisce la fallibilità in estensione del socio illimitatamente responsabile, nonché del socio occulto, nel caso in cui venga dichiarato il fallimento di società in nome collettivo, società in accomandita semplice e società in accomandita per azioni.

Il fallimento in estensione riveste “natura eccezionale” (cfr Tribunale di Roma, sezione fallimentare, provvedimento del 8 novembre 2006), in quanto prevede il fallimento dei soci - anche se sprovvisti della qualifica di imprenditori commerciali - che appartengono alle citate tipologie societarie, in deroga alla regola generale posta dagli articoli 2221 del Codice civile e 1 della legge fallimentare.

Sotto il profilo fiscale, tuttavia, in tale ipotesi, non si rinvengono valide ragioni logico-giuridiche che inducano a escludere l’obbligo per il curatore fallimentare di operare la ritenuta d’acconto, all’atto dell’erogazione di somme costituenti per il percipiente redditi di lavoro autonomo, a nulla rilevando la natura civilisticamente “eccezionale” del fallimento in estensione ai fini di un eventuale esonero dall’applicazione della ritenuta.

Il curatore fallimentare, infatti, essendo ormai espressamente qualificato come sostituto d’imposta, non può “dismettere” tale qualità e deve ottemperare a tutti gli obblighi fiscali a essa connessi, a prescindere da ogni considerazione e connessione con il soggetto fallito.

Sul punto, la risoluzione ha evidenziato che “La qualità di sostituto d’imposta del curatore fallimentare quindi scaturisce da un “autonomo” obbligo posto dalla citata norma, e non è da ritenersi “derivata” dalla qualità di sostituto d’imposta ordinariamente rivestita dal debitore fallito”.

Il documento di prassi ha concluso che il curatore del fallimento in estensione, quando corrisponde compensi al consulente fiscale della procedura concorsuale, deve effettuare la ritenuta d’acconto del 20% (articoli 23 e 25 del Dpr 600/1973), versarla, rilasciare la relativa certificazione al percipiente delle somme, nonché compilare la dichiarazione annuale prevista per i sostituti d’imposta, indicando i dati relativi all’effettuazione della predetta ritenuta.

Ultima notazione di ordine pratico: in tutti i documenti fiscali in cui sia necessario indicare la partita Iva del soggetto fallito, il curatore dovrà invece indicare il codice fiscale del socio fallito in estensione. Nel modello 770, inoltre, il curatore dovrà indicare - quale codice attività del socio fallito in estensione - il medesimo codice attività della società da cui deriva il fallimento “individuale” del socio stesso.

L’agenzia delle Entrate non ha, quindi, accolto la tesi dell’istante, secondo cui il curatore del fallimento in estensione di un socio non titolare di partita Iva avrebbe dovuto presentare al competente ufficio la dichiarazione di inizio di attività per ottenere il rilascio della partita Iva, applicando in via estensiva l’articolo 35 del Dpr 633/1972.
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