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Normativa e prassi

Deprezzamento crediti commerciali:
l’amministrazione non cambia idea

Per stabilire quando la deduzione non è ammessa, il 5% del valore nominale o di acquisizione va confrontato con il totale delle svalutazioni e degli accantonamenti “dedotti “

L’Agenzia delle Entrate, rispondendo a un’istanza di interpello in materia di trattamento fiscale della svalutazione dei crediti, ribadisce quanto già sostenuto in una precedente circolare sulla corretta configurazione del limite di deducibilità previsto dal testo unico. La conferma arriva con la risoluzione n. 65/E dell'8 giugno 2017.
 
Il quesito
Una società operante nel campo energetico sottolinea che, in relazione alla propria attività d’impresa, matura ingenti crediti commerciali nei confronti dei clienti. Da punto di vista contabile, essa valuta periodicamente tali crediti, iscrivendo a conto economico la svalutazione.
Pertanto, la società si trova nella condizione di dover applicare le disposizioni del Tuir che, appunto, disciplinano il trattamento fiscale della svalutazione dei crediti (articolo 106, commi 1 e 2, Tuir).
Più specificamente, l’istante chiede all’Agenzia di fornire chiarimenti sulla esatta determinazione del limite di deducibilità e sul corretto comportamento da tenere, in sede di dichiarazione, quando la deduzione non è più ammessa (in quanto l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti ha raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio).
 
A tal proposito, la società sottolinea che il dubbio nasce dalla sentenza della Corte di cassazione n. 13458, del 1° luglio 2015, che sembrerebbe aver accolto la tesi secondo cui l’importo limite del 5% “deve essere raffrontato con l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti, comprendente tutti gli accantonamenti (civilistici) al fondo svalutazione crediti e non solo l’ammontare dedotto”.
 
Svalutazione dei crediti: la disciplina del Tuir
I crediti, in linea di principio, sono soggetti al rischio di inesigibilità da parte del debitore. Per questo motivo, la loro valutazione all’atto della redazione del bilancio deve essere eseguita in modo tale da poter registrare situazioni di perdita.
Sotto il profilo fiscale, quindi, sorge la necessità di disciplinare i componenti negativi di reddito che sorgono nel momento in cui si registra una perdita rispetto a un credito.
Tale disciplina è contenuta negli articoli 101, comma 5, e 106, Tuir, il cui scopo è delineare condizioni di certezza nella determinazione del reddito imponibile rispetto a componenti come i crediti, caratterizzati, per loro natura, da elementi di discrezionalità (sia in fase di valutazione sia in fase di gestione e realizzo).
 
Il Tuir, in particolare, distingue tra inesigibilità definitiva e inesigibilità potenziale, stabilendo che:
  • le perdite su crediti divenuti definitivamente inesigibili sono deducibili senza limiti (articolo 101, comma 5)
  • le svalutazioni su crediti potenzialmente inesigibili sono, invece, deducibili in misura forfettaria (articolo 106).
Il quesito oggetto dell’interpello verte proprio sull’interpretazione della disposizione che prevede la deducibilità limitata delle svalutazioni dei crediti commerciali (non assicurati) delle imprese industriali.
A tal proposito, il legislatore tributario prevede un doppio limite. Infatti, è stabilito che:
  • le svalutazioni che risultano dal bilancio sono deducibili nel limite dello 0,50% del relativo valore nominale o di acquisizione
  • la deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti dal bilancio a fine esercizio.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
Descritta la disciplina prevista dal Tuir, l’amministrazione ribadisce quanto già sostenuto in un precedente documento di prassi. Infatti, nella circolare n. 26/E del 1° agosto 2013 è stato precisato che:
  • per poter stabilire quando la deduzione fiscale delle svalutazioni dei crediti non è più ammessa, è necessario confrontare il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti con il totale della svalutazioni e degli accantonamenti “dedotti” e non con quelli complessivamente imputati in bilancio
  • se in un esercizio, il totale complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti è superiore al 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti, l’eccedenza concorre a formare il reddito.
Tali conclusioni, secondo l’Agenzia, non sono smentite dalla richiamata sentenza della Corte di cassazione (n. 13458 del 1° luglio 2015), dalla quale, infatti, non è possibile ricavare un principio di diritto diverso rispetto all’interpretazione offerta.
 
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