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Normativa e prassi

Fornitura energia non pagata:
il momento della variazione Iva

E inoltre, la somma a favore del venditore uscente a titolo di indennizzo per un debito non saldato dal cliente (C-mor) non rappresenta un corrispettivo e quindi non è soggetto a imposta sul valore aggiunto

pali energia elettrica

Con la risposta n. 119 del 17 febbraio 2021, l’Agenzia delle entrate chiarisce i criteri e i tempi di emissione delle note di variazione in diminuzione dell’Iva, che la società istante, fornitrice di energia elettrica e gas, deve effettuare in conseguenza di diverse situazioni di inadempienza sui pagamenti, da parte di alcuni clienti, non dipendenti da accordi tra le parti e che hanno portato alla risoluzione dei contratti, con interruzione del servizio: sia nel caso in cui questi abbiano cambiato fornitore (switching) che in quello di semplice recesso. Con l’occasione, individua anche la natura dell’eventuale indennizzo (C-mor), forfettario e calcolato su stime di consumo, a favore del fornitore uscente.
 
Il tema, sottolinea l’amministrazione, è in primis regolato dall’articolo 26, commi 2, 3 e 9, del decreto Iva, il quale dispone che: “2. Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose [...], il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25.
3. La disposizione di cui al comma 2 non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti [...].
9. Nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.
 
Dalla lettura della norma riportata emerge come, nel caso prospettato, non opera il limite temporale di un anno (cfr comma 3), in quanto i mancati pagamenti non dipendono da un sopravvenuto accordo fra le parti. Detto questo, in ordine alla procedura di variazione, l’Agenzia richiama la circolare n. 1/2018, nella quale ha precisato che “per effetto del combinato disposto dell'articolo 26 e dell'articolo 19 del medesimo decreto, detta procedura deve realizzarsi (e, dunque, la nota di variazione deve essere emessa) entro i termini previsti dal comma 1 del citato articolo 19”.
In particolare, tenendo conto della sua nuova formulazione “la nota di variazione in diminuzione deve essere emessa (e la maggiore imposta a suo tempo versata può essere detratta), al più tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all'anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione”.
 
Pertanto, il "presupposto per operare la variazione in diminuzione" coincide, nel caso in esame, con la materiale interruzione del rapporto contrattuale e della fornitura, oggetto di successiva comunicazione al cliente inadempiente.
Considerato che la risoluzione contrattuale è la conseguenza dell'inadempimento del cliente, ne discende che l'istante può operare la variazione per tutte le fatture insolute emesse prima della stessa risoluzione, come precisato anche dalla Cassazione nella sentenza n. 12468/2019. In tale occasione la suprema Corte ha espresso il principio secondo cui “in tema di IVA, a fronte della risoluzione per inadempimento da parte del consumatore finale di un contratto di abbonamento a servizi telefonici, il prestatore, in base alla norma sopravvenuta introdotta dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 126, ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell'IVA in relazione alle prestazioni eseguite, e non remunerate antecedentemente alla risoluzione”. E ciò, indipendentemente dalla circostanza che il recesso (switching) del cliente sia intervenuto prima o dopo il mancato pagamento della fattura.
Ne consegue che, una volta emessa la fattura e assolto l'obbligo di versamento dell'imposta, l'istante può emettere senza limiti di tempo la nota di variazione “in relazione alle prestazioni eseguite, e non remunerate antecedentemente alla risoluzione”, che in questo caso è integrata, come detto, dalla materiale interruzione della fornitura.
 
Al fine di poter detrarre l'imposta relativa alla fattura insoluta è, comunque, necessario che la nota di variazione in diminuzione sia emessa, al più tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione Iva relativa all'anno in cui si è verificata l'interruzione della fornitura.
Quindi, se la fornitura è stata interrotta nel 2019, la nota di variazione in diminuzione doveva essere emessa entro il 30 giugno 2020, termine ordinario di presentazione della dichiarazione.
Emessa tempestivamente la nota, l'imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale Iva di riferimento (ossia, la dichiarazione 2021 relativa al periodo d'imposta (cfr risposta n. 192/2020).
 
Nota di variazione senza limiti di tempo anche nel caso in cui l’emissione delle fatture avvenga dopo lo switching (anche nell’anno successivo), come indicato nell’articolo 26, comma 2, del decreto Iva, ma nel rispetto del citato articolo 19.
Tuttavia l’Agenzia precisa che tale ipotesi non si verifica quando la risoluzione del contratto, e cioè l'interruzione della fornitura, avviene prima della materiale emissione della fattura e della sua registrazione: il presupposto necessario è il mancato pagamento.
 
Riguardo alla natura del C-mor, il documento di prassi ricorda che secondo la risoluzione n. 106/2011, tale somma deriva “dalla condizione di morosità del cliente nei confronti del venditore uscente, evidenziata dalla richiesta di indennizzo presentata da quest'ultimo per l'importo fatturato e non riscosso. Il C-mor difetta, quindi, di un nesso sinallagmatico diretto rispetto alla fornitura di energia elettrica effettuata dal venditore entrante”. Di conseguenza, afferma l’Agenzia, l’addebito trasferito dal vecchio al nuovo fornitore e poi al cliente non può essere considerato corrispettivo secondo i criteri fissati dall’articolo 13 del decreto Iva, ma soltanto una modalità per recuperare il debito dell’utente.
In definitiva, quindi, in accordo con l’istante, l’Agenzia ritiene che la somma recuperata a titolo di C-mor rappresenti una movimentazione finanziaria che ha natura di semplice reintegrazione patrimoniale e non di corrispettivo e, come tale, non debba essere soggetta a Iva.

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