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Normativa e prassi

Fuori bonus l’attività ospedaliera
del ricercatore trasferito in Italia

Il docente e medico universitario può però ricorrere al regime speciale per i lavoratori rimpatriati valido per tutti i redditi di lavoro dipendente o autonomo a prescindere dall’attività

Il trattamento economico percepito da un professore universitario per lo svolgimento di attività assistenziale presso aziende ospedaliero–universitarie, non è ammesso a fruire dell’agevolazione – ex articolo 44 del decreto legge 78/2010 – prevista per i redditi derivanti da rapporti aventi a oggetto attività di docenza e ricerca.
È questa la risposta dell’Agenzia delle entrate, contenuta nella risoluzione 146/E del 29 novembre 2017, a un quesito sull’argomento.
 
La disposizione agevolativa in questione si occupa di garantire, per un massimo di quattro periodi di imposta, benefici fiscali a soggetti italiani e stranieri che abbiano svolto una comprovata attività di ricerca o docenza all’estero e decidano di trasferire la residenza fiscale nel nostro Paese. L’agevolazione consiste in una parziale tassazione dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia per lo svolgimento dell’attività di docenza e ricerca, i quali concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 10 per cento. Inoltre, le predette somme, non concorrono alla formazione del valore della produzione netta ai fini Irap.
 
Nel caso proposto, l’università istante chiede se i redditi prodotti da un docente universitario nello svolgimento dell’attività assistenziale prestata, anche in regime libero professionale, nel quadro della convenzione tra l’università e l’azienda ospedaliero–universitaria, siano riconducibili tra i redditi derivanti da attività di docenza e ricerca al fine di beneficiare, anche per essi, del regime agevolativo previsto dall’articolo 44 del Dl 78/2010.
Viene infatti rappresentato che è frequente che professori universitari delle discipline mediche svolgano anche attività assistenziale presso l’azienda ospedaliero–universitaria, secondo le disposizioni del Dlgs 517/1999, che disciplina i rapporti fra Servizio sanitario nazionale e Università.
 
L’Agenzia, alla luce della normativa di riferimento, ha ritenuto che i trattamenti economici aggiuntivi previsti per lo svolgimento delle attività assistenziali presso le aziende ospedaliero-universitarie (come, ad esempio, l’esercizio di attività assistenziale intramuraria), non possono essere considerati alla stregua di redditi derivanti da rapporti aventi ad oggetto attività di docenza e ricerca e, pertanto, non possono fruire della tassazione agevolata prevista dall’articolo 44 del Dl 78/2010.
Tuttavia, l’Agenzia ricorda che, nell’ipotesi in cui un soggetto con esperienza di docenza o ricerca all’estero rientri in Italia per svolgere una qualunque attività di lavoro dipendente o autonomo, diversa dall’attività di docenza e ricerca, può fare ricorso al regime speciale per lavoratori impatriati di cui dall’articolo 16 del Dlgs 147/2015 (fermo restando, comunque, il possesso di tutti i requisiti previsti da tale regime), ai sensi del quale l’agevolazione si applica a tutti i redditi di lavoro dipendente o autonomo percepiti dal soggetto, senza distinguere l’attività dalla quale sono prodotti. Per i requisiti e le modalità di accesso al regime di favore previsto dal detto articolo 16, l’Agenzia rinvia alle precisazioni contenute nella parte II, capitolo 3, della circolare 17/2017.
 
Infine, la risoluzione in commento rammenta che condizione necessaria per accedere a entrambi i regimi di favore citati è che il soggetto interessato acquisisca e mantenga la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del Tuir. Il richiamo al Testo unico delle imposte dirette implica che debba farsi riferimento al concetto di residenza valido ai fini reddituali, in base al quale, il citato articolo 2, al comma 2, considera residenti le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni l’anno (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Le condizioni appena indicate sono tra loro alternative, pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
 
Tenuto conto della rilevanza del solo dato dell’iscrizione nel registro anagrafico della popolazione residente, il soggetto che non si è mai cancellato da tale registro e, quindi, che non si è iscritto all’Aire, non può essere ammesso all’agevolazioni in esame.
Con il nuovo documento di prassi viene precisato, pertanto, che non possono trovare applicazione le precisazioni contenute nella circolare 14/2012 relativamente alla mancata iscrizione all’Aire del soggetto interessato, in quanto con tale circolare sono stati forniti chiarimenti interpretativi in relazione a un diverso regime di favore, quello disciplinato dalla legge 238/2010, recante incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia. Tale legge, a differenza dell’articolo 44 del Dl 78/2010 e dell’articolo 16 del Dlgs 147/2015, non rinvia espressamente al concetto di residenza valido ai fini reddituali – articolo 2 del Tuir – ai sensi del quale è sufficiente che il soggetto integri una sola delle condizioni ivi previste per essere considerato residente nel territorio dello Stato.
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