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Normativa e prassi

Indennizzo per ingiusta detenzione.
La somma non rileva ai fini fiscali

Non può essere assimilato al risarcimento per il danno subito, in quanto non tiene conto solo delle conseguenze patrimoniali ma anche di quelle penali, morali, fisiche e psicologiche

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Non hanno natura risarcitoria le somme liquidate a titolo di lucro cessante da mancata percezione di redditi nelle pronunce di equa riparazione per ingiusta detenzione e di riparazione dell'errore giudiziario e, di conseguenza, non vanno tassate. È in sintesi il contenuto nella risposta n. 295/2021 dell’Agenzia, in linea con il parere dell’Avvocatura delle Stato e con la consolidata giurisprudenza penale.

Nel quesito in esame l’istante chiede se nell’ambito delle pronunce che si riferiscono espressamente ai mancati guadagni conseguenti all'applicazione della custodia cautelare (riparazione per ingiusta detenzione) o all'applicazione della pena (riparazione per errore giudiziario) sussiste la possibilità di tassare, in base all'articolo 6, comma 2, del Tuir, la quota parte della riparazione eventualmente qualificata come lucro cessante.

L’Agenzia ricorda l’articolo 314 del codice di procedura penale, secondo il quale chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, o perché il fatto non costituisce reato, ha diritto a essere indennizzato per la detenzione subìta. Il successivo articolo 315 prevede che la somma per la riparazione non può comunque eccedere 516.456,90 euro. Parimenti ha diritto a un indennizzo chi è vittima di un errore giudiziario (articolo 643 del codice di procedura penale).
Entrambe le fattispecie non rientrano nel risarcimento del danno, ma costituiscono un indennizzo per ingiusta condanna o privazione della libertà, basato sui principi di solidarietà sociale (Cassazione penale, sentenze n. 10878/2012, n. 222444/2015, n. 7787/2016). Secondo la Suprema corte l’esclusione di una tutela di tipo risarcitorio è finalizzata a ristorare le persone ingiustamente condannate senza sottoporle anche a ulteriori controversie sull’accertamento del danno.

Lo stesso orientamento della giurisprudenza rileva che l’obbligo risarcitorio deriva da un inadempimento contrattuale o da un fatto illecito da provare, l’indennizzo invece nasce dall’attività giurisdizionale quindi in un ambito lecito.
Di conseguenza, l’Agenzia è dell’avviso che gli istituti della riparazione per ingiusta detenzione e per errore giudiziario non generino proventi da tassare, come avviene invece per le somme conseguite in sostituzione dei redditi persi.

L’Agenzia ritiene così condivisibile il parere dell'Avvocatura generale dello Stato n. 158901/2005, secondo il quale sussiste una profonda differenza fra equa riparazione e risarcimento del danno, in quanto la prima non mira alla sola refusione dei danni materiali o del lucro cessante, ma anche all’erogazione di una somma che compensi l'interessato delle conseguenze penali, di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica subite.
L'Avvocatura generale dello Stato, quindi, nel citato parere ritiene che tale indennizzo non sia riconducibile fra gli emolumenti tassabili.
Una diversa interpretazione comporterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento, ai fini fiscali, fra i casi in cui l'autorità giudiziaria, anche utilizzando criteri risarcitori, riesca a misurare in maniera precisa il danno da lucro cessante e quelli in non giunga, invece, a una puntuale quantificazione.
L’Agenzia in conclusione, alla luce della normativa, della giurisprudenza e delle linee interpretative  dell’Avvocatura dello Stato, ritiene che le somme erogate a seguito di pronunce di riparazione pecuniaria per ingiusta detenzione e per errore giudiziario non siano fiscalmente rilevanti.

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