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Normativa e prassi

L’equa indennità vuole la fattura
se è l’avvocato a dare sostegno

Quando ad assistere una persona impossibilitata da infermità a provvedere ai propri interessi è un professionista, il relativo compenso è fiscalmente rilevante

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Per assistere le persone affette da menomazioni fisiche o psichiche che si trovano nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di occuparsi dei propri interessi, la legge 6/2004 ha introdotto la figura dell’amministratore di sostegno, che viene nominato dal giudice tutelare del luogo in cui l’infermo ha la propria residenza o domicilio. Di norma, la scelta dell’amministratore di sostegno avviene nell’ambito familiare ma, in alcuni casi, può essere effettuata anche al di fuori della cerchia familiare, ad esempio un avvocato.
L’articolo 379 del codice civile stabilisce che “L'ufficio tutelare è gratuito. Il giudice tutelare tuttavia considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione, può assegnare al tutore una equa indennità …”. Se il giudice tutelare sceglie un avvocato quale amministratore di sostegno, la relativa indennità rappresenta un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale, quindi inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo e rilevante ai fini Iva.
Questo, in sintesi, il chiarimento contenuto nella risoluzione n. 2/E del 9 gennaio.
 
Il quesito
Un avvocato, nell’ambito della propria attività professionale, ha ricevuto molteplici incarichi di amministratore di sostegno. Dal 2008 il numero degli incarichi è cresciuto al punto tale da costituire una parte rilevante dell’attività svolta, per i quali i giudici tutelari, per un certo periodo, hanno liquidato l’equa indennità comprensiva di oneri accessori (rimborso forfetario, cassa di previdenza degli avvocati, Iva); e per le somme ricevute, l’avvocato ha emesso regolari fatture.
Successivamente gli stessi giudici tutelari, mutando orientamento, hanno considerato l’indennità in questione un reddito non più imponibile, liquidando la sola indennità senza gli oneri accessori. A parte viene definita la parcella di avvocato, nel caso in cui questi svolga attività giudiziale o stragiudiziale nell’interesse della persona inabile, per la quale il legale emette fattura.
L’avvocato chiede quale sia il corretto trattamento Irpef e Iva, rappresentando che la cassa forense ha confermato la non applicabilità della contribuzione sull’equa indennità.
 
I chiarimenti dell’Agenzia
Punto di partenza per la definizione del quesito è, come già evidenziato, la legge n. 6/2004, che ha istituito la figura dell’amministratore di sostegno, introducendo i relativi principi nell’ambito del codice civile, del quale, tra l’altro, trovano applicazione, per il rinvio operato dall’articolo 411, alcune norme riguardanti l’ufficio tutelare. Tra questi, l’articolo 379 che ne stabilisce la gratuità, prevedendo comunque la possibilità che il giudice assegni, se del caso, una equa indennità.
 
Se la scelta ricade su un avvocato - precisa la risoluzione -, la relativa indennità si configura, in ogni caso, sotto il profilo tributario, come un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale e deve, perciò, essere inquadrata come reddito di lavoro autonomo soggetto a Irpef (articolo 53 del Tuir) e rilevante ai fini Iva (articoli 3 e 5 del Dpr 633/1972).
 
Viene infine ricordato che l’ordinanza della Corte costituzionale 1073/1988, richiamata dall’istante, relativamente alla natura non retributiva dell’equa indennità prevista dall’articolo 379 cc, riguardava un particolare caso di tutela di un interdetto da parte di un parente, tra l’altro emessa ben prima dell’entrata in vigore della legge n. 6/2004.
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