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Normativa e prassi

Per l’oro, industriale o in polvere,
il reverse charge è ad ampio raggio

Anche le vendite del metallo polverizzato da utilizzare in oreficeria, per il fisco sono assimilabili a quelle di “materiale d’oro”, se è garantito il livello di purezza richiesto dalla norma

oro

Le cessioni di “polveri d’oro” e di “paste contenenti polveri d’oro” impiegate nei processi di saldatura dei gioielli possono fruire del reverse charge. È la sintesi della risposta dell’Agenzia n. 13 del 18 novembre 2020 all’istanza di consulenza giuridica di un’associazione che chiedeva se le cessioni del metallo prezioso, sotto forma di polvere o pasta, fossero assimilabili a quelle dell’oro industriale, cui si applica il meccanismo dell’inversione contabile.
L’Agenzia ricorda, in primis, il regime Iva introdotto dalla legge n. 7/2000, in attuazione della Direttiva 98/80/Ce. Le misure prevedono che le cessioni e le operazioni finanziarie riguardanti l'oro da investimento sono esentate dall’Iva, salvo l’opzione per l’imponibilità (articolo 10, comma 11, del Dpr n. 633/1972) e che le cessioni di oro industriale sono soggette al regime dell’inversione contabile se di purezza pari o superiore a 325 millesimi (articolo 17, comma 5, Dpr n. 633/1972). In quest’ultimo caso, infatti, la norma prevede che sia il cessionario a pagare l’imposta se è un soggetto passivo nel territorio dello Stato.
In merito all’esatta nozione di “materiale d'oro” e di “prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi”, premessa la natura non fiscale di tale nozione, l’Agenzia ricorda anche i chiarimenti forniti con le risoluzioni n. 168/2001, n. 375/2002 e n. 161/2005. Secondo tali documenti di prassi, in linea con quanto stabilito dall’Ufficio italiano cambi e dalla Banca d’Italia, il legislatore si è riferito all'oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione, e non di investimento. In tal senso, vi rientrano tutti i prodotti che non hanno una funzione individuale, ma che hanno bisogno di una trasformazione per essere successivamente utilizzati.
L’Agenzia richiama anche la sentenza della Corte di giustizia  del 26 maggio 2016 (causa C-550/2014) in base alla quale il materiale d'oro “può comprendere non solo l'oro allo stato grezzo, ma anche il metallo fino o qualsivoglia materiale composto in parte di oro”. La stessa sentenza dopo aver evidenziato che gli Stati membri possono decidere di mettere in atto dei regimi di autoliquidazione in determinati settori per semplificare le regole e contrastare l’evasione, ricorda che “ciò che aumenta il rischio di frodi fiscali e che, pertanto, giustifica l'applicazione di un meccanismo di autoliquidazione per la cessione di determinati beni, fra cui l'oro, è l'elevato valore di mercato degli stessi rispetto alle dimensioni, che li rendono facilmente trasportabili. Nel commercio dell'oro, quando non si tratta di un prodotto finito, come un gioiello, è il tenore d'oro del bene in questione a determinarne il valore. Di conseguenza, il rischio di frodi fiscali è tanto maggiore quanto più elevato è il tenore d'oro di tale bene”.
Quindi il livello di purezza è decisivo per determinare se una cessione di materiale d'oro o di prodotti semilavorati, che non costituiscono un prodotto finito, rientri o meno nell'ambito di applicazione dell'articolo 198, paragrafo 2, della direttiva Iva.
L’Agenzia, alla luce delle norme richiamate, ritiene condivisibile la tesi dell’istante sulla riconducibilità delle “polveri d’oro” e delle “paste contenenti polveri d’oro” finalizzate alla saldatura, tra le materie prime e semilavorati cui si applica il regime dell'inversione contabile, sempre che sia garantito il livello di purezza dell’oro richiesto dalla norma. Conferma, infine, come chiarito nella risoluzione n. 161/2005, l’esclusione dal reverse charge delle montature di anelli e delle chiusure di collane e bracciali, trattandosi di prodotti che, seppur destinati ad essere assemblati per realizzare un prodotto finito, hanno già una propria definita destinazione d’uso. Solo nel caso in cui siano venduti per essere utilizzati nelle fusioni da parte dei gioiellieri e abbiano una purezza pari o superiore a 325 millesimi, potranno far parte del “materiale d’oro” che sconta l’inversione contabile.
 

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