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Normativa e prassi

Il rapporto di lavoro tra padre e figlio non sempre fa sorgere il diritto all'agevolazione

Due recenti risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate hanno affrontato il tema del credito d'imposta per gli incrementi occupazionali a seguito di assunzione di figli da parte dei genitori

Le due pronunce (n. 349/E e n. 351/E) giungono a conclusioni diverse, poiché le stesse esaminano due situazioni del tutto differenti, in relazione alle quali, in un caso, non era possibile riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro (figlio che presta attività di assistenza domestica al genitore anziano e pensionato), nell'altro, invece, non era possibile disconoscere il presupposto (figlio che esercita l'attività di meccanico alle dipendenze del padre imprenditore).

La risoluzione n. 349 dell'8 novembre nega rilevanza fiscale, e quindi, il riconoscimento dell'incentivo previsto dall'articolo 7, della legge n. 388 del 2000, al rapporto di lavoro che si instaura tra genitore e figlio, qualora quest'ultimo venga assunto come collaboratore domestico per prestare assistenza al padre pensionato.
L'Agenzia delle Entrate, in questo caso, non ha riconosciuto all'assunzione le connotazioni tipiche di un rapporto di lavoro subordinato, venendone a mancare i requisiti specifici dell'obbligatorietà e della reciprocità delle prestazioni.

L'argomentazione appare condivisibile ed è coerente con una consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha ritenuto che sussista una presunzione di gratuità, fino a prova contraria, delle prestazioni di opera personale rese nell'ambito familiare, e ha sottolineato che le prestazioni domestiche rese da parenti o affini di primo grado, indipendentemente dalla convivenza, sono da considerarsi prestate per motivi affettivi e, quindi, prive di tutela previdenziale.
Nella risoluzione si sottolinea, in particolare, che l'assistenza prestata a un genitore trova la principale radice in quei fondamentali diritti/doveri di cura familiare che nascono sempre all'interno di un nucleo familiare e che sono tutelati dall'ordinamento giuridico anche in campo penale.
Una volta negata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, evidentemente, non si poteva che escludere la spettanza del credito di imposta, il cui presupposto principale è proprio l'esistenza di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato.

La risoluzione n. 351 dell'11 novembre riguarda, invece, una fattispecie completamente diversa, in quanto, nell'interpello proposto, si chiedeva se un artigiano possa dedurre dal proprio reddito di impresa le spese sostenute a titolo di compenso del lavoro prestato dal figlio maggiorenne da lui assunto, e se, in relazione a tale rapporto di lavoro, possa usufruire del credito di imposta previsto dall'articolo 7, della legge n. 388 del 2000.
In questo secondo caso, l'Agenzia, considerati la qualità di imprenditore dell'istante e l'oggetto specifico del rapporto instaurato (meccanico presso l'autocarrozzeria paterna), non ha posto in dubbio la sussistenza di un valido rapporto di lavoro dipendente e, pertanto, ha riconosciuto il diritto a usufruire sia delle deduzioni di cui all'articolo 62, comma 2, del Tuir in relazione ai compensi erogati, sia, ove ne ricorrano le condizioni, del bonus assunzioni.
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