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Normativa e prassi

Recupero Iva della controllante Uk,
la remissione in bonis va esclusa

È uno strumento volto a evitare mere dimenticanze e non può essere utilizzato dalle società che hanno optato per la tassazione di gruppo, liquidando periodicamente l’imposta

credito ripristinato

Una società residente nel Regno Unito che in qualità di subholding controlla delle società italiane e che allo scadere della deadline della Brexit si trova un credito Iva da recuperare non può utilizzare la remissione in bonis, ma dovrà chiedere il rimborso dell’imposta con la dichiarazione Iva 2022, relativa al 2021. È in sintesi la risposta dell’Agenzia n. 288 del 23 aprile 2021.

L’istante fa sapere che pur non svolgendo alcuna attività nel nostro Paese, si è identificata direttamente in Italia (articolo 35-ter, Dpr n. 633/1972), per poter optare in qualità di controllante con le controllate italiane, a partire dal 2018, per la tassazione Iva di gruppo (articolo 73, comma 3, del decreto Iva).

Considerando che nel periodo d’imposta 2020 le controllate hanno generato un credito Iva e che l’istante ritiene che, in virtù della Brexit a partire dal 1° gennaio 2021, il regime dell’Iva di gruppo potrebbe essersi interrotto ex lege e che per effetto di tale interruzione il credito Iva, maturato al 31 dicembre 2020 dal gruppo, è rimasto nella propria esclusiva disponibilità in qualità di ex-controllante, chiede se per il recupero del credito maturato può avvalersi della remissione in bonis - entro il termine per la presentazione della dichiarazione Iva 2021, visto che il suddetto credito non potrà né essere chiesto a rimborso con la dichiarazione Iva 2021, mancando i requisiti indicati nell'articolo 30, comma 2, del decreto Iva da parte delle controllate italiane, né tramite compensazione, in quanto essa non svolge direttamente attività in Italia.

L’Agenzia rileva in primo luogo che l’istante non potrà utilizzare la remissione in bonis (articolo 2 Dl n. 16/2012) per il recupero del credito Iva maturato, in quanto istituto finalizzato a sanare delle semplici dimenticanze dei contribuenti e non nel caso in cui le società abbiano già optato per la tassazione di gruppo e hanno liquidato periodicamente l'imposta (la tardiva comunicazione della fuoriuscita dal regime di due società del gruppo rappresenterebbe in tal caso un mero ripensamento). Né potrà chiedere il rimborso nell'anno di maturazione del credito, in quanto l’articolo 30 del decreto Iva prevede che i presupposti per ottenere la restituzione dell’imposta in sede di dichiarazione annuale devono verificarsi in capo alle singole società (controllante e controllate) che hanno generato il credito, mentre negli anni successivi i criteri interesseranno la sola controllante.

Secondo quanto riferito dall’istante, per il periodo d'imposta 2020 non risultano integrati i requisiti per il rimborso da parte delle società controllate che hanno generato il credito Iva, mentre nel 2021 lo stesso credito non potrà essere utilizzato in detrazione o in compensazione, in quanto l’istante non svolge alcuna attività in Italia.

Secondo l’Agenzia, quindi, la società istante che nel 2021 ha chiuso la partita Iva potrà chiedere il rimborso dell’imposta con la dichiarazione Iva 2022.

Inoltre, l’Agenzia chiarisce che la partita Iva attribuita mediante identificazione diretta non cessa automaticamente per effetto della Brexit. Come chiarito con la risoluzione n. 7/2021, infatti, i soggetti passivi stabiliti nel Regno Unito con rappresentante fiscale o con identificativo Iva rilasciato prima dell’1° gennaio 2021 possono continuare a utilizzarlo per le operazioni interne. Per chiudere la partita Iva è invece necessario presentare l’apposito modello ANR/3, barrando la casella 3 “cessazione attività”, per rappresentare che, come non residente, “non intende più assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di IVA direttamente [...].

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