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Normativa e prassi

“Retribuzione convenzionale” preclusa
se manca il requisito della permanenza

Per il regime di favore, che prevede una determinazione dello stipendio che non tiene conto delle somme effettivamente corrisposte, è necessario il soggiorno all’estero oltre 183 giorni

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Il requisito della prestazione lavorativa nel Paese estero per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di dodici mesi, necessario per applicare la “retribuzione convenzionale” (articolo 51, comma 8-bis, del Tuir), non si ritiene rispettato per la dipendente italiana distaccata in Germania che ha lavorato però nel nostro Paese in smart working, soggiornando quindi all’estero per un periodo inferiore a 183 giorni. Il chiarimento arriva con la risposta dell’Agenzia n. 590 del 15 settembre 2021.

Il quesito è stato formulato da una società italiana appartenente a un gruppo tedesco che intende distaccare una propria dipendente, con inquadramento dirigenziale, presso la consociata tedesca priva di stabile organizzazione in Italia. L’istante, in particolare, vuole sapere se lo svolgimento occasionale in Italia da remoto della prestazione lavorativa della dipendente possa compromettere la fruizione della retribuzione convenzionale prevista dall'articolo 51, comma 8-bis del Tuir, secondo il quale “il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali di cui all'art. 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio1987, n. 317, convertito dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398”.

L’Agenzia ritiene che nel caso prospettato non sussistano i presupposti per determinare il reddito con la retribuzione convenzionale fissata dal decreto del ministero del lavoro e delle Politiche Sociali che, in sostanza, non tiene conto delle somme effettivamente corrisposte al lavoratore.

Viene infatti ricordato il contenuto dell’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir secondo il quale:

  • il lavoratore distaccato deve essere inquadrato in una delle categorie per le quali il ministero fissa la retribuzione convenzionale
  • l'attività deve essere svolta all'estero con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità e costituisca l'oggetto esclusivo del rapporto di lavoro
  • il lavoratore nell'arco di dodici mesi deve soggiornare nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.

Riguardo a quest’ultimo requisito, l’Agenzia fa presente che in più occasioni è stato precisato che il criterio adottato dal legislatore è quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa e la tassazione del reddito deve avvenire nel Paese in cui è fisicamente svolta l'attività lavorativa, indipendentemente dal Paese ove si esplicano gli effetti di tale attività. Nel caso in esame, a parere dell’Agenzia, manca quest’ultimo requisito in quanto la dipendente distaccata in Germania svolge l’attività in Italia in modalità di lavoro agile, soggiornando all'estero per un periodo non superiore a 183 giorni. Ebbene, il lavoratore distaccato non potrà fruire della retribuzione convenzionale. Né la società può invocare la circostanza che lo smartworking è contrattualmente previsto, dovendo prevalere, ai fini del regime di favore, il requisito della permanenza all’estero.

Va ricordato, infine, che il periodo di lavoro nell’altro Paese non deve essere necessariamente continuativo, essendo sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all'estero per più di 183 giorni nell'arco di dodici mesi.

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