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Normativa e prassi

La ricerca scientifica e tecnologica
non è prestazione medica esente Iva

Il corrispettivo pagato dal Ministero committente per l’attività svolta dall’Istituto che provvede alla realizzazione del progetto dovrà essere assoggettato all’aliquota ordinaria del 22%

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Le prestazioni di servizio di ricerca scientifica e tecnologica rese nell’ambito di un progetto che ha come obiettivo principale la produzione di un rapporto tecnico, in cui saranno raccolte e analizzate le migliori evidenze scientifiche sulle metodiche e tecnologie esistenti applicabili alla misura/monitoraggio dell’idratazione nell’uomo, si configurano come una vera e propria attività di ricerca, non ammissibile all’esenzione sancita dal decreto Iva per le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie.

È quanto emerge dalla risposta n. 456/E del l’8 ottobre 2020 all’istanza di interpello presentata da un Ministero, il quale, avendo stipulato un contratto per un progetto di ricerca con lo scopo di affrontare il problema della valutazione del grado di disidratazione nell’uomo in funzione dello scenario operativo di riferimento, vuole conoscere il trattamento fiscale Iva applicabile alle prestazioni effettuate dall’Istituto contraente. Trattandosi di prestazioni complesse, il Ministero chiede di accertare l’eventuale sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per il riconoscimento dell’esenzione prevista dall’articolo 10, comma 1, n. 18), del Dpr n. 633/1972.

Per rispondere al quesito, l’Agenzia, dopo aver ricordato le interpretazioni fornite in suoi precedenti documenti di prassi e quelle della giurisprudenza unionale in merito all’esenzione per le prestazioni sanitarie, passa a esaminare i contenuti del contratto stipulato tra le parti, dal quale risulta chiaramente che l’Istituto si obbliga a svolgere una prestazione di servizi rappresentata da una complessa attività di ricerca scientifica e tecnologica, costituita da una serie di prestazioni autonome.
Queste, dunque, non configurano una “prestazione medica”, ma una vera e propria attività di ricerca, i cui risultati rientrano nella disponibilità del Ministero committente e potranno essere sfruttati dallo stesso o dall’Istituto cofinanziatore, sempre su autorizzazione del Dicastero, che eserciterà il diritto di proprietà intellettuale in caso di eventuali domande di brevetto per invenzioni e/o modelli di utilità a fronte di risultati di ricerca scaturiti dal contratto.
Al corrispettivo pagato per le prestazioni rese dall’Istituto andrà, quindi, applicata l’Iva con l’aliquota ordinaria del 22 per cento.

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