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Normativa e prassi

Rimborso finanziamenti agli eredi:
va in dichiarazione di successione

È un evento sopravvenuto, dotato di autonoma rilevanza dichiarativa e impositiva e, pertanto, suscettibile di determinare l’applicazione dell’imposta in misura superiore

Nella sentenza 6132/2016, i giudici di legittimità hanno affrontato la questione relativa agli effetti del mancato inserimento nella dichiarazione di successione o in quella integrativa dei crediti derivanti da finanziamenti infruttiferi erogati dal de cuius a società partecipate nel momento in cui detti finanziamenti vengano rimborsati agli eredi.

Nel caso di specie, l’ufficio aveva recuperato a tassazione il rimborso di detti finanziamenti ottenuto dagli eredi, considerandolo quale evento sopravvenuto dotato di autonoma rilevanza dichiarativa e impositiva, quindi suscettibile di determinare l'applicazione dell'imposta in misura superiore, ex articolo 28, comma 6, del Dlgs n. 346/1990.
 
Il Collegio ha ritenuto legittimo tale recupero, precisando che i crediti derivanti da finanziamenti infruttiferi erogati dal de cuius a società partecipate avrebbero dovuto essere indicati nelle dichiarazioni di successione anche integrative, in quanto dotati di autonoma rilevanza dichiarativa e impositiva.
 
La suprema Corte ha, quindi, chiarito che tale omissione - che legittima il recupero dell’imposta dovuta sul rimborso del finanziamento ottenuto dagli eredi - non può ritenersi “sanata” dalla circostanza, invocata dalla parte contribuente, che l’amministrazione fosse autonomamente in grado di rilevare la presenza nell’attivo ereditario dei crediti infruttiferi in parola per il fatto che risultava denunciata la partecipazione nelle società.
 
I giudici di legittimità hanno, infatti, precisato in proposito che la denuncia della partecipazione non può equivalere alla indicazione delle specifiche componenti patrimoniali delle società partecipate, comprensive delle somme a esse attribuite dal de cuius in conto finanziamento infruttifero. E, nello stesso senso, l’omessa dichiarazione di detti crediti non può essere sanata dall’allegazione integrativa dei bilanci per la valutazione delle partecipazioni ricomprese nell’attivo ereditario. La verifica dei bilanci viene fatta in vista dell'applicazione del criterio valutativo del patrimonio netto al momento dell'apertura della successione ex articolo 16, lettera b), del Dlgs n. 346/1990, quando le operazioni di finanziamento, anche se contabilmente rilevabili, risultavano sostanzialmente ininfluenti sulla base imponibile.
 
A questo proposito, la Corte ha testualmente ritenuto che “il rilievo, al fine della valutazione della partecipazione, del debito delle società verso il socio non attribuiva, per ciò solo, effetto dichiarativo <per equipollenza> al corrispondente credito del de cuius”.
 
Il Collegio ha poi escluso che l'inventario redatto ai fini dell'accettazione beneficiata dell'eredità, nel quale i due crediti infruttiferi verso le società erano effettivamente stati indicati all'importo nominale e con giudizio di inesigibilità, potesse “supplire” all’omessa dichiarazione del credito in questione. Ciò in quanto tale atto non costituisce una dichiarazione fiscale del contribuente e, per ciò stesso, non può integrare una denuncia del credito in parola che escluda il recupero a tassazione del rimborso dello stesso agli eredi.
 
Sulla base di tale rigorosa e formalistica interpretazione, la Corte di legittimità ha, quindi, ritenuto che la mancata indicazione dei crediti per finanziamenti infruttiferi nelle dichiarazioni presentate dagli eredi legittima il recupero dell’imposta in occasione del sopravvenuto rimborso degli stessi, quale evento sopravvenuto rilevante ai fini impositivi, cui è correlato l’obbligo di presentazione di una dichiarazione integrativa entro i termini di cui all’articolo 31, comma 2, lettera e), del Dlgs n. 346/1990 (dodici mesi dall’evento).
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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