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Normativa e prassi

Se il formaggio è in eccesso,
il riaddebito è senza Iva

Gli importi aggiuntivi possono essere qualificati come penalità, addebitate dal caseificio al produttore ed escluse dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto

forme di formaggio

In caso di latte lavorato per la produzione di formaggio in eccesso si procede alla determinazione dei conteggi della contribuzione aggiuntiva in capo ai singoli caseifici: le somme richieste sono a mero titolo di riaddebito senza collegamento tra gli importi richiesti e le prestazioni rese. Questa la sintesi della risposta dell’Agenzia all’interpello n. 228/2019.
 
Quesito
L’istante è una società agricola, operante nella produzione di latte destinato alla trasformazione in formaggio e fornitrice di latte al caseificio trasformatore. La società è anche socio del consorzio del formaggio, con la qualifica di allevatore-produttore.
Gli allevatori consorziati (produttori di latte, trasformatori, stagionatori) devono versare un contributo consortile, con aliquota Iva del 22%, a supporto delle attività del consorzio.
Per controllare il volume della produzione, il consorzio redige un piano di regolazione dell’offerta, in base al quale la società istante risulta titolare di un numero quote latte annue mungibili. Il piano è un accordo di natura privatistica tra i soggetti partecipanti alla filiera di produzione e prevede l’assegnazione, a ciascun allevatore, del diritto di produrre un quantitativo di latte da destinare alla produzione di formaggio e, a ciascun caseificio, della possibilità di produrre un numero di forme.
 
Se il totale del latte lavorato è inferiore al punto di riferimento produttivo comprensoriale (prc), non scatta nessun meccanismo di contribuzione aggiuntiva. In caso contrario, qualora la produzione di formaggio sia superiore al prc, per limitare il superamento delle assegnazioni, scatta il meccanismo delle penalità, configurate come “contribuzione aggiuntiva” a favore del consorzio del formaggio, con la stessa natura della contribuzione ordinaria. Ciò vuol dire che solo i caseifici che hanno prodotto più forme di quelle stabilite devono versare la contribuzione aggiuntiva.
 
Ciascun caseificio, in qualità di titolare formale dei versamenti, può addebitare la contribuzione aggiuntiva ai produttori, responsabili di aver ceduto latte in eccesso rispetto alle quantità loro consentite, e ripartirla tra i diversi produttori conferenti con metodi definiti autonomamente dal caseificio.
 
L’istante chiede quale sia il trattamento ai fini Iva delle somme riaddebitate dal caseificio alla società istante, prospettando la mancata applicazione dell’Iva.
 
Risposta
L’Agenzia nel formulare la sua risposta richiama i rapporti giuridici e contrattuali intercorrenti tra i soggetti coinvolti, per qualificare correttamente ai fini Iva le somme dovute a titolo di contribuzione aggiuntiva. L’Agenzia ricorda, infatti, che, a detta dello Statuto del consorzio del formaggio, i consorziati sono tenuti  a  osservare il piano di regolazione offerta, che ha come scopo quello di “assicurare l’impegno degli allevatori a partecipare all’eventuale contribuzione aggiuntiva che, viene determinata in capo ai caseifici” .
Il Piano in esame specifica che in caso di latte lavorato per la produzione di formaggio in quantità superiore al dovuto “si procede alla determinazione dei conteggi della contribuzione aggiuntiva in capo ai singoli caseifici. L’eventuale contribuzione generata ha la natura di contribuzione dei caseifici consorziati ai sensi dello Statuto consortile”. Nei casi di saldo negativo, il caseificio viene sottoposto alla determinazione della contribuzione aggiuntiva, circostanza che non si manifesta nel caso di saldo positivo o nullo.
 
L’Agenzia concorda la soluzione rappresentata dalla società istante in ordine alla qualificazione giuridica della somma pagata dall’allevatore a favore del caseificio, qualificata come penalità. Il caseificio richiede le somme a semplice titolo di riaddebito senza svolgere alcuna attività e in assenza di qualsiasi sinallagma tra gli importi richiesti e le prestazioni rese: le somme, pertanto, non rientrano nel campo di applicazione dell’Iva. Inoltre, stesso discorso vale per gli importi corrisposti dai caseifici al consorzio, configurati come pagamenti in denaro, sempre a titolo di contribuzione aggiuntiva e fuori dal campo di applicazione dell’Iva.

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