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Normativa e prassi

Servitù su terreni agricoli:
l’imposta di registro è al 9%

La gestione dei contenziosi pendenti deve essere rivista alla luce del criterio più volte espresso dalla Cassazione, secondo cui il diritto reale di godimento si “costituisce” e non si “trasferisce”

terreno agricolo

L’imposta di registro da applicare alla costituzione di servitù su terreno agricolo a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e imprenditori agricoli è quella del 9% e non del 15% prevista in caso di trasferimento del bene. Di conseguenza, le controversie pendenti nei vari gradi di giudizio dovranno essere riesaminate alla luce di tale indicazione e le precisazioni fornite con i precedenti documenti di prassi (risoluzione n. 92/2000 e circolare n. 18/2013) devono ritenersi superate.

È quanto chiarito dall’Agenzia con la risoluzione n. 4 del 15 gennaio 2021.

Le nuove indicazioni si basano sull’analisi del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di imposta di registro da applicare agli atti costitutivi di servitù sui terreni agricoli (Cassazione, sentenze n. 22198/2019, n. 22199/2019, n. 22200/2019 e n. 22201/2019).
Va ricordato che la normativa vigente (articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986) prevede, al primo periodo del comma 1, l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale nella misura del 9%, in via generale, agli “Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi”.
L’aliquota sale al 15% “Se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale”, come indicato nel successivo periodo della norma.

A parere dei giudici di legittimità, in relazione alla natura peculiare del diritto di servitù (agli articoli 1027 e ss del codice civile), il legislatore non ha voluto dare ampia accezione al termine “trasferimento” avendolo invece circoscritto a un preciso atto negoziale posto in essere dalle parti. Di conseguenza, in una servitù prediale non vi è alcun trasferimento di diritto, trattandosi di una limitazione imposta al proprietario di un fondo (servente) a vantaggio di un altro fondo (dominante). In base a tali criteri, nelle citate pronunce la Cassazione si è sempre espressa nel senso che la servitù prediale costituita su un terreno agricolo essendo un atto costitutivo e non traslativo deve scontare l’aliquota del 9% e non quella del 15% prevista per i trasferimenti.

Alla luce del quadro delineato, l’Agenzia ritiene superate le indicazioni contenute nei precedenti documenti di prassi (risoluzione n. 92/2000 e circolare n. 18/2013) e chiarisce che i numerosi contenziosi pendenti, concernenti la tassazione ai fini dell’imposta di registro degli atti costitutivi di servitù su terreno agricolo, devono essere riletti e risolti applicando l’aliquota del 9% (primo periodo del comma 1 dell’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986) al posto di quella del 15% applicata dagli Uffici.

Inoltre, nella risoluzione odierna si precisa che per gli atti costitutivi del diritto di servitù non c’è l’obbligo di presentazione della domanda di voltura volta ad aggiornare le intestazioni catastali, a norma dell’articolo 3 del Dpr n. 650/1972, secondo cui “Ogni qualvolta vengono posti in essere atti civili o giudiziali od amministrativi che diano origine al trasferimento di diritti censiti nel catasto dei terreni, coloro che sono tenuti alla registrazione degli atti stessi hanno altresì l’obbligo di richiedere le conseguenti volture catastali”, mentre è prevista la trascrizione dei “contratti che costituiscono o modificano servitù prediali” (articolo 2643, comma 1, n. 4) del codice civile).

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