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Normativa e prassi

Servizi Tte: le nuove regole
in materia di territorialità Iva

Affrontato, tra l’altro, il tema dell’applicazione dell’imposta nell’ambito delle catene distributive di prestazioni elettroniche e di telecomunicazioni rese con tecnologia “Voip”

Con la circolare 22/E del 26 maggio 2016, l’Agenzia delle Entrate fornisce una compiuta interpretazione di prassi del Moss (mini one stop shop) e delle norme comunitarie in materia di territorialità Iva dei servizi di telecomunicazione, dei servizi di teleradiodiffusione e dei servizi elettronici (“servizi Tte”) prestati a committenti non soggetti passivi d’imposta, ovvero servizi B2C (business to consumer), recepite dal legislatore italiano con il Dlgs 42/2015.
 
La territorialità dei servizi Tte nel decreto Iva
Nel fornire chiarimenti ufficiali sull’intero “pacchetto Moss” (leggi anche “Servizi Tte: grazie al regime Moss, cabina di regia in un unico Stato”) entrato in vigore nel 2015, la circolare in esame parte dall’interpretazione del nuovo articolo 7-sexies, comma 1, lettere f) e g), del Dpr 633/1972, come modificato dall’articolo 1 del Dlgs 42/2015.
È con questa norma, infatti, che il legislatore italiano ha recepito il principio dell’assoggettamento a Iva nel Paese di domicilio o di residenza del committente non soggetto passivo (tassazione “a destinazione”) sancito dall’articolo 58 della direttiva n. 2006/112/Ce, stabilendo in particolare che si considerino prestate nel territorio dello Stato italiano, se rese a committenti non soggetti passivi d’imposta:
  • le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, quando il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente senza domicilio all’estero (nuova lettera f)
  • le prestazioni di telecomunicazione e di teleradiodiffusione, quando il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente senza domicilio all’estero, e sempre che siano utilizzate nel territorio dell’Unione europea (nuova lettera g). 
Con la nuova lettera g) dell’articolo 7, il legislatore italiano ha esercitato la facoltà, concessa agli Stati membri dall’articolo 59-bis, lettera a), della direttiva 2006/112/Ce, di considerare come se fossero prestati al di fuori del proprio territorio, e dunque fuori campo Iva, i servizi Tte che, sebbene prestati all’interno del territorio nazionale, siano stati effettivamente utilizzati e oggetto di fruizione al di fuori dell’Ue.

I servizi Tte nel regolamento Ue 282/2011
Grande attenzione è posta poi dalla circolare alle norme del regolamento 282/2011 che definiscono, in via esemplificativa e senza alcuna pretesa di tassatività, le tre categorie dei servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici, tracciando quindi il campo di operatività della nuova disciplina.
 
Costituiscono servizi di teleradiodiffusione, ai sensi del nuovo articolo 6-ter, paragrafo 1, del regolamento 282/2011, quelli “consistenti nella fornitura al pubblico di contenuti audio e audiovisivi, come i programmi radiofonici o televisivi trasmessi attraverso reti di comunicazione da un fornitore di servizi di media sotto la sua responsabilità editoriale, per l’ascolto o la visione simultanei, sulla base di un palinsesto”, tra cui i programmi radiofonici o televisivi trasmessi o ritrasmessi su una rete radiofonica o televisiva e i programmi radiofonici o televisivi distribuiti attraverso internet o analoga rete elettronica (Ip streaming), se diffusi contemporaneamente alla loro trasmissione o ritrasmissione su una rete radiofonica o televisiva.
 
I servizi forniti per via elettronica, invece, continuano a essere individuati dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento 282/2011, in quelli forniti attraverso internet o una rete elettronica e la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata di un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tecnologia dell’informazione (un esempio tra tutti, la fornitura di prodotti digitali in generale, compresi software, loro modifiche e aggiornamenti).
 
Le presunzioni di localizzazione
Di rilievo sono anche i chiarimenti forniti in relazione agli articoli 24-bis e 24-ter del regolamento 282/2011, che stabiliscono presunzioni legali di territorialità ai fini Iva per quelle prestazioni di servizi per cui il luogo di stabilimento, l’indirizzo permanente o la residenza abituale del committente siano praticamente impossibili da determinare o non si possano determinare con certezza.
Al riguardo, la circolare precisa che le presunzioni, lungi dal costituire una deroga ai criteri di territorialità fissati dai nuovi articoli 58 e 59-bis della direttiva 2006/112/Ce e recepiti nel richiamato articolo 7-sexies del decreto Iva, assolvono una funzione meramente ausiliaria a tali criteri, agevolandone la pratica applicazione.
 
La circolare evidenzia, altresì, il differente ambito soggettivo di applicabilità degli articoli 24-bis e 24-ter, che riguardano, rispettivamente, tutte le prestazioni di servizi Tte, sia B2B che B2C (nel caso dell’articolo 24-bis), ovvero le sole prestazioni B2C (nel caso dell’articolo 24-ter).
L’Agenzia ribadisce che tutte le citate presunzioni sono relative e, come tali, confutabili da parte del prestatore, in quanto soggetto chiamato ad adempiere gli obblighi tributari connessi ai servizi erogati, nonché dell’Amministrazione finanziaria, non anche da parte committente che non è soggetto passivo.
 
La confutazione della presunzione soggiace alle condizioni previste dall’articolo 24-quinquies del regolamento 282/2011, e cioè all’individuazione di tre elementi di prova non contraddittori tra loro, dai quali risulti che il destinatario è stabilito, ha il suo indirizzo permanente o la sua residenza abituale altrove.
L’Amministrazione finanziaria, invece, è legittimata a confutare le presunzioni ogniqualvolta sussistano indizi di un loro uso improprio da parte del prestatore e senza alcun limite minimo di elementi probatori da addurre, avendo cura, tuttavia, di non imporre al prestatore oneri probatori sproporzionati in quei casi in cui il servizio erogato rivesta carattere occasionale, coinvolga per lo più piccole somme e richieda la presenza fisica del destinatario in un determinato luogo, ovvero non preveda generalmente il rilascio di ricevute di pagamento o di altri elementi certificativi dei corrispettivi conseguiti (cfr considerando n. 10 del regolamento 282/2011).
 
Lo status del committente
Altra disposizione cui la circolare dedica particolare attenzione è l’articolo 18, paragrafo 2, comma 2, del regolamento 282/2011, che detta norme per l’identificazione dello status, ai fini Iva, del committente del servizio Tte.
Benché i criteri di territorialità applicabili alle transazioni B2C siano stati sostanzialmente coincidenti con quelli relativi alle transazioni B2B, essendo anch’essi fondati sul principio di “tassazione a destinazione”, permane in ogni caso l’esigenza di appurare lo status del destinatario del servizio, in modo da individuare il soggetto tenuto ad assolvere gli obblighi fiscali e le modalità di adempimento specificamente applicabili (addebito dell’Iva in via di rivalsa al committente oppure applicazione del reverse–charge).
 
A tal fine, al prestatore di servizi Tte viene riconosciuta, indipendentemente dal fatto di essere in possesso o meno di informazioni che depongano in senso contrario, la facoltà di considerare il committente, sempreché stabilito nell’Ue, come privo di soggettività passiva Iva, qualora quest’ultimo abbia semplicemente omesso di comunicargli il proprio numero individuale di identificazione Iva.
Ma al prestatore è riconosciuta, altresì, l’opposta facoltà di considerare il destinatario come soggetto passivo Iva, subordinatamente all’individuazione e all’esibizione – a richiesta dell’Amministrazione finanziaria – di dati e informazioni sufficienti a dimostrare che effettivamente il destinatario ha acquistato il servizio nella veste di soggetto passivo Iva.

Catene distributive e servizi Tte
La circolare esplicativa affronta, quindi, il complesso tema dell’applicazione dell’Iva nell’ambito delle catene distributive dei servizi elettronici e dei servizi di telecomunicazioni resi con tecnologia “Voip”, che si caratterizzano per il numero, spesso elevato, di intermediari.
In questi casi, è fondamentale individuare, tra tutti i soggetti passivi partecipanti alla catena distributiva, quello tenuto ad adempiere gli obblighi fiscali inerenti alla prestazione al committente finale e, dunque, all’addebito dell’Iva in rivalsa.
 
A siffatta esigenza risponde il nuovo articolo 9-bis del regolamento 282/2011, che detta la regola generale secondo cui, laddove i servizi elettronici siano resi attraverso una rete di telecomunicazione, un’interfaccia o un portale (“infrastruttura IT”), deve presumersi che ogni soggetto passivo che interviene nella catena lo faccia in nome proprio, ma per conto del prestatore di tali servizi, e sia, dunque, tenuto all’applicazione dell’Iva nel successivo passaggio dell’erogazione del medesimo servizio.
Trattandosi anche in questo caso di una presunzione di carattere relativo, ne è consentito il superamento, ma solo ove ricorrano i presupposti e le condizioni di cui al paragrafo 2 dell’articolo 9-bis del regolamento 282/2011, specificamente commentate dalla circolare.
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