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Normativa e prassi

Snc, reddito di partecipazione non imputabile agli eredi minorenni del socio defunto

Chiamati in causa solo i componenti della compagine sociale alla chiusura del periodo d’imposta

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I redditi prodotti da una società in nome collettivo non possono essere imputati agli eredi non ancora maggiorenni del socio defunto, a meno che alla data di chiusura del periodo d'imposta il tribunale non abbia autorizzato l'accettazione dell'eredità e l'eventuale continuazione del rapporto societario in base a un accordo con i soci superstiti. Lo chiarisce l'agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 157/E di oggi, che affronta la questione dell'imputazione del reddito di una Snc in caso di variazione della compagine sociale. A questo proposito, il documento di prassi richiama in primo luogo le disposizioni del Tuir, secondo cui "i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
Inoltre, l'Amministrazione finanziaria, riprendendo due sentenze della Cassazione, ricorda che, in caso di variazione nel corso dell'anno della compagine sociale delle società di persone, il reddito prodotto deve essere attribuito soltanto ai soci definibili come tali alla fine del periodo d'imposta.

Partendo da queste premesse, la risoluzione si sofferma sulla necessità di individuare le persone che rivestono la carica di socio al momento della chiusura del periodo d'imposta, richiamando da una parte i principi civilistici che regolano lo scioglimento del rapporto sociale in seguito alla morte di un socio, dall'altra quelli sull'accettazione dell'eredità da parte degli eredi minorenni. A questo proposito, l'Amministrazione finanziaria riprende l'articolo 320 del Codice civile, che stabilisce che i genitori di figli minorenni non possono accettare o rifiutare l'eredità senza la preventiva autorizzazione del giudice tutelare.
Sul primo versante valgono invece le disposizioni dell'articolo 2284 del Codice civile, per cui, in assenza di previsioni diverse contenute nel contratto istitutivo della società, alla morte di un socio gli altri sono tenuti a liquidare la quota agli eredi. Con un'eccezione: lo scioglimento della società o la sua continuazione insieme agli eredi purché questi siano acconsenzienti.
In sostanza, la normativa vigente riconosce ai soci superstiti il diritto di esercitare la scelta che ritengono più conveniente per la tutela dei loro interessi, mentre coloro che accettano l'eredità possono solo pretendere il pagamento della quota proporzionale del capitale sociale che apparteneva al socio deceduto.

Al contrario, non rientra nelle loro prerogative la possibilità di subentrare automaticamente nella società al posto del defunto, dato che il rapporto sociale non si trasmette per via ereditaria e attraverso la successione, ma attraverso un accordo con gli altri soci. Si tratta, come ha stabilito una sentenza della Cassazione, di un'intesa che può essere stipulata in forma non scritta e verificabile anche sulla base di fatti concludenti.
Quando però nell'asse ereditario sono presenti persone di minore età o comunque incapaci, l'accordo per l'ingresso degli eredi nella società è subordinato al rilascio di un'autorizzazione da parte del tribunale volta a tutelarli dagli eventuali rischi derivanti da un'assunzione illimitata di responsabilità nella gestione di un'impresa.
Di conseguenza, il reddito di partecipazione può essere imputato agli eredi non ancora maggiorenni solo in presenza di due condizioni: gli altri componenti della società devono accettare l'inclusione dei nuovi soci e il tribunale deve dare il suo placet alla continuazione del rapporto societario.

Nel caso specifico preso in esame dai tecnici delle Entrate, alla data di presentazione dell'istanza di interpello da parte di una società di persone con una compagine sociale mutata in seguito alla morte di un socio, le famiglie degli eredi minorenni non avevano ancora avviato né la pratica per richiedere al giudice tutelare l'autorizzazione per l'accettazione dell'eredità, né quella per ottenere dal tribunale competente il nulla osta per proseguire il rapporto societario. Quindi, alla fine del periodo d'imposta gli eredi non diciottenni del socio deceduto, che era poi il nonno, non erano ancora subentrati nella sua posizione sociale, per cui la compagine sociale risultava composta esclusivamente dal socio superstite e dai tre nipoti maggiorenni del defunto.
Il reddito prodotto dalla Snc deve, quindi, essere attribuito per intero e proporzionalmente soltanto ai soci che possiedono questo titolo alla chiusura del periodo d'imposta, escludendo invece gli altri possibili eredi.

Da questo punto di vista, la risoluzione precisa che l'eventuale autorizzazione rilasciata in un secondo tempo dal tribunale per consentire ai minori la prosecuzione del rapporto societario avrà effetti sul piano civile, ma non su quello fiscale, essendo scaduti i termini per adempiere agli obblighi di natura tributaria.
Ne consegue che la possibile distribuzione in periodi d'imposta successivi di utili accantonati in apposita riserva non avrà conseguenze di tipo fiscale. Nel frattempo, infatti, il reddito sarà stato già imputato ai soci che risultavano tali alla fine dell'anno, ossia alla data di chiusura del periodo d'imposta.
Una conclusione che combacia con quella proposta dal contribuente autore dell'interpello, convinto che il reddito della Snc vada imputato esclusivamente al socio superstite e ai nipoti maggiorenni dell'altro socio defunto che, in virtù della maggiore età, hanno potuto accettare l'eredità del nonno.
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