Un ente pubblico risultato perdente in una lite giudiziaria è tenuto ad emettere la certificazione unica per le spese di giudizio, anche se sono destinate a un libero professionista munito di delega all'incasso, a nulla rilevando il regime fiscale adottato da quest'ultimo (ordinario o forfetario) e l’eventuale qualifica di sostituto d'imposta della controparte vittoriosa. È la s,intesi della risposta n. 189 del 3 febbraio 2023, dell’Agenzia delle entrate.r
Il dubbio interpretativo dell’istante riguardava proprio la circostanza che, nel caso presentato, le spese di lite erano devolute a un soggetto a sua volta sostituto d’imposta.
L’Agenzia, nel dettaglio, osserva che l’ente pubblico istante, pagando le spese all’avvocato difensore della parte risultata vittoriosa in giudizio ed essendo una pa tenuta all’applicazione delle ritenute (articolo 29, comma 5, del Dpr n. 600/1973), assume la qualifica di sostituto d'imposta nell’erogazione di tali spese, sia se sono riscosse da un avvocato antistatario (difensore che dichiara di aver assistito il cliente senza aver riscosso gli onorari e anticipando le spese) sia se sono riscosse invece da un avvocato munito di delega all'incasso, a prescindere dall'eventuale qualificazione di sostituto d'imposta della controparte vittoriosa.
Pertanto, l'istante è tenuto a effettuare la ritenuta d’acconto Irpef sulle somme erogate al professionista, a versare le ritenute e a certificare i compensi tramite la certificazione unica.
Nel caso di compensi corrisposti a professionisti che applicano il regime forfetario, quei compensi quindi da non assoggettare a ritenuta d’acconto, chiarisce inoltre l’Agenzia, l'istante dovrà comunque emettere la certificazione unica per redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi, riportando l'intero importo corrisposto sia al punto 4 (ammontare lordo corrisposto) che al punto 7 (altre somme non soggette a ritenuta) della stessa certificazione.