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Normativa e prassi

Tassati i rimborsi per l’attività
svolta da casa in smart working

Diversamente se in presenza di un criterio analitico idoneo a determinare per ciascuna tipologia di spesa la quota di costi risparmiati dalla società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente

smart working

I rimborsi “forfetari” erogati ai dipendenti in smart working per i costi connessi all’uso di internet, al consumo della corrente elettrica, dell'aria condizionata o del riscaldamento concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente imponibile, a meno che non sia determinabile in base a elementi e parametri oggettivi o per legge la quota spesa esclusivamente nell’interesse del datore di lavoro. È quanto chiarisce la risposta n. 328 dell’11 maggio 2021, con la quale l'Agenzia torna a fornire chiarimenti circa il trattamento fiscale delle somme rimborsate al lavoratore in modalità agile (vedi articolo “Rimborso per smart working, non è imponibile ai fini Irpef”).

L’istante è una società di consulenza ingegneristica con 50 dipendenti. A causa della pandemia, per assicurare contemporaneamente la salute del personale e la continuità lavorativa ha disposto che i suoi dipendenti lavorassero da casa, facendo ricorso allo smart working semplificato e, quindi, senza gli obblighi previsti dalla legge n. 81/2017.
La società intende rimborsare, tramite appositi accordi pattuiti con il personale, che svolge l’attività esclusivamente da remoto, una somma pari al 30% dei costi effettivi documentati, addebitati al dipendente o al coniuge convivente, per la connessione a internet, il consumo della corrente elettrica, dell'aria condizionata o del riscaldamento. Si tratterebbe di indennizzi di natura risarcitoria a tutti gli effetti e non computabili ai fini degli altri istituti contrattuali e di legge compreso l'eventuale trattamento di fine rapporto.

Il dubbio riguarda il corretto inquadramento fiscale di tali somme. La società chiede se gli importi rimborsati costituiscono redditi di lavoro dipendente e, quindi, sottoposti a ritenute, e se, in caso contrario, la percentuale risarcita (calcolata secondo il rapporto tra l'orario lavorativo, 8 ore, e la durata dell'intera giornata) possa essere considerata “congrua”.

L’Agenzia delle entrate fa subito riferimento al principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente fiscalmente rilevante (articolo 51, comma 1, Tuir), in base al quale tutte gli emolumenti, in denaro ma anche in beni, servizi o opere per il loro valore, corrisposti dal datore di lavoro al dipendente, concorrono alla determinazione del reddito imponibili di lavoro dipendente, compresi, quindi, i rimborsi spese.

La risposta affronta il tema tornando su alcuni documenti di prassi che hanno chiarito e preso in considerazione ipotesi specifiche di applicazione del suddetto concetto.
La circolare n. 326/1997 ha escluso da tassazione le spese anticipate dal personale per il datore di lavoro, riguardanti acquisti di poco valore, come la carta per la stampante.
La risoluzione, n. 178/2003 ha chiarito che non concorrono alla formazione dell’imponibile le somme che non arricchiscono il dipendente come indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale in relazione a costi sostenuti esclusivamente nell’interesse del datore di lavoro. L’argomento è stato ripreso dalla risoluzione n. 357/2007, che ha ritenuto non rilevanti i rimborsi relativi a quanto pagato dal telelavoratore per i collegamenti telefonici che gli consentono di raggiungere le risorse informatiche dell'azienda messe a disposizione dal datore di lavoro e, quindi, per svolgere l’attività. La stessa risoluzione ha anche precisato che l’ipotesi era tra quelle esaminate dalla circolare n. 326/1997 su richiamata, in caso di rimborso di spese sostenute per interesse esclusivo del datore di lavoro anticipate dal dipendente e, quindi, non imponibili.

Tornando alla vicenda dell’interpello, l’Agenzia afferma che non sono rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile del reddito di lavoro dipendente le spese del lavoratore, rimborsate in modo forfetario, soltanto se fissato per legge un criterio di determinazione della quota attribuibile all’esclusivo interesse del datore di lavoro (articolo 51, comma 4, lettera a), Tuir – utilizzo promiscuo di auto). In mancanza di una regola, chiarisce la risoluzione n. 74/2017, l’irrilevanza fiscale dei rimborsi deve essere individuata sulla base di elementi oggettivi e documentalmente accertabili.
Non è così per i risarcimenti erogati dall’istante al personale che svolge la propria attività in smart working, erogati secondo un criterio forfetario, senza parametri oggettivi e una specifica disposizione di legge.
In conclusione, a differenza di quanto sostenuto dalla società, le somme erogate al personale come rimborso per la connessione a internet, l’utilizzo di energia elettrica, aria condizionata e riscaldamenti, concorrono alla formazione del reddito imponibile di lavoro dipendente.

Soltanto l’applicazione di un metodo analitico per la suddivisione della spesa potrebbe far decidere in senso opposto. Ciò significa definire con precisione, attraverso elementi documentali, la quota di costi risparmiati dalla società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente, così da poter stabilire il valore assoluto delle spese sostenute per esclusivo interesse della società.

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