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Normativa e prassi

Tasse italiane o lussemburghesi:
la risposta è nella “vera” residenza

Una cosa è certa: la ripartizione della detrazione per il figlio a carico spetterà alla madre nella misura del 50%, a meno che la stessa non abbia un reddito più alto del marito

Il cittadino italiano, in Lussemburgo per lavoro, può applicare la Convenzione contro le doppie imposizioni, siglata da quel Paese con l’Italia, solo se riesce a dimostrare di essere in una delle condizioni in base alle quali è possibile stabilire la residenza di un soggetto all’estero “nella maggior parte del periodo d’imposta”.
A ribadirlo è l’Agenzia delle entrate, con la risposta 25/2018.
 
Condizioni alternative, ma necessarie, che l’Amministrazione riepiloga per fare chiarezza sul motivo della sua risposta “aperta” all’istanza di interpello formulata da un contribuente il quale, come anticipato, vive in Lussemburgo dal 1° settembre 2017, qui ha trasferito la propria residenza, si è registrato all’Aire, ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ha affittato una casa e, infine, qui paga le imposte sul reddito come single (così come previsto dalle norme tributarie lussemburghesi).
Il contribuente, però, fa presente che la moglie e il figlio sono residenti in Italia, il contratto di locazione e le bollette di luce e gas dell’abitazione dove vivono sono intestati all’istante. Ciò gli fa sorgere dubbi sul comportamento da adottare per le dichiarazioni dei redditi relative al 2017 e al 2018.
 
Secondo l’Agenzia (e qui torniamo alle “condizioni”), per individuare la nozione di residenza fiscale valida per l’applicazione della Convenzione tra Italia e Lussemburgo per evitare le doppie imposizioni (legge 747/1982), per prima cosa bisogna fare riferimento alla legislazione interna degli Stati contraenti.
Poi, è necessario considerare come residente “ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza (…) o di ogni altro criterio di natura analoga” (Convenzione, articolo 4, paragrafo 1).
Infine, per la legislazione italiana, sono residenti “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile” (articolo 2, comma 2, Tuir).
Basta solo uno di questi presupposti per essere considerati residenti.
 
Nel caso in esame, osserva l’Agenzia, il contribuente non dice con precisione quando si è iscritto all’Aire, quindi non è possibile stabilire se la condizione è rispettata per la maggior parte del periodo d’imposta 2017 e, naturalmente, per il 2018.
Inoltre, il quadro descritto dallo stesso (famiglia in Italia, intestazione di contratto di affitto e utenze) induce a ritenere che egli abbia nel Paese il proprio domicilio, inteso come luogo in cui ha deciso, a prescindere dalla reale presenza fisica, di stabilire la sede principale dei suoi affari e interessi.
 
In sostanza, per non essere considerato fiscalmente residente in Italia negli anni d’imposta 2017 e 2018, l’interessato deve fornire maggiori informazioni. Una cosa però è certa: il fatto che lo stesso sia soggetto in Lussemburgo alla tassazione riservata ai single senza figli a carico, non autorizza la moglie a indicare nella percentuale del 100% la detrazione spettante per il figlio a carico.
Secondo la nostra legislazione, infatti, la detrazione in argomento va ripartita nella misura del 50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati o, se c’è accordo tra gli stessi, tocca al genitore che possiede il reddito complessivo più elevato (articolo 12, Tuir).
 
Nella risposta, infine, il prospetto delle possibili situazioni e delle possibili soluzioni nel caso in cui l’istante dovesse essere considerato residente sia in Italia sia in Lussemburgo negli stessi periodi d’imposta. Soluzioni tutte rintracciabili nella Convenzione.
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